In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner, Lunedì 2 dicembre 2013 alle ore 17,00, la Biblioteca Universitaria di Genova propone una conferenza del Prof. Giorgio Pestelli, Storico della musica, già ordinario di Storia della musica all'Università degli Studi di Torino. L'incontro si terrà presso la nuova sede della Biblioteca Universitaria, in via Balbi, 40 (ex Hotel Colombia).
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili
Dall’intervista a Radio Vaticana del 22.05.2013
Bicentenario wagneriano. Pestelli: "L'uomo al centro del suo teatro innovativo"
Wagner fu indubbiamente una delle figure più complesse del secolo scorso, che ha incarnato le più forti contraddizioni del Romanticismo tedesco. Ma cosa resta indelebile della sua arte a distanza di 200 anni? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al critico e musicologo, Giorgio Pestelli:
R. – Una conquista indelebile resta legata al fatto che ha reso il linguaggio musicale ipersensibile, capace di esprimere stati d’animo anche complessi, sottili, ineffabili, cose cioè dell’interiorità mai espresse in musica e che, dopo di lui, hanno avuto un grande seguito. Senza di lui, uno Strauss o un Mahler non sarebbero concepibili e anche, fuori dalla Germania, un Debussy o un Franck, o anche – fuori dalla musica, in pittura, in letteratura – un Baudelaire o un Proust. La prosa di Proust e tutta la concezione del suo grande romanzo ciclico senza la presenza di questo fluire della musica di Wagner sarebbero state diverse.
D. – Lei ha parlato di un fluire e in effetti l'idea di "opera totale" di Wagner è un’idea nuova. Cosa voleva dire?
R. – Un’idea più interiore dello spettacolo, in cui la parola, il canto e la scena, tutte confluissero in un ideale di unità quasi mistica, quasi da rito.
D. – Lei lo definirebbe un autore difficile?
R. – Senza dubbio, è un autore difficile soprattutto da rappresentare, perché ha delle pretese musicali di orchestra, di voci, di fatica di voce e sceniche molto importanti. Per il pubblico è indispensabile, secondo me, sapere cosa questi personaggi dicono, perché Wagner è un grande moralista, è uno che va a fondo nei dialoghi.
D. – Qual era la visione che aveva Wagner dell’umanità e dell’uomo?
R. – Un mondo che nella realtà che lui rappresenta è sempre dominato da questa oscura presenza del male, oscura e misteriosa: non si sa perché c’è il male nel mondo, ma l’uomo è veramente oppresso da questo peso. A questo si contrappone un riscatto lontano o un’illusione suprema, che è quella dell’amore. In tutta la sua opera, poi, c’è questo tema della rinuncia e cioè una concezione della vita in cui solo la rinuncia – la rinuncia all’amore, la rinuncia al potere, all’oro e alla ricchezza – dà un orizzonte ottimista.
D. – Lo trova un autore con contenuti e idee attuali?
R. – Sì, senza dubbio, perchè in Wagner il ricorso a leggende mitiche è una copertura che egli usa per analizzare l’uomo in se stesso. Diceva: “A me interessa quello che è tipicamente umano, l’eternamente umano”. Secondo me, quindi, Wagner è attualissimo, ma bisogna saperlo trattare, nelle regie, negli aspetti giusti.
D. – Un contemporaneo di Wagner – e il bicentenario è anche il suo – è Verdi. La storia li ha sempre un po’ contrapposti. E’ corretto contrapporli? Non hanno veramente niente in comune i due?
R. – I due certamente hanno avuto una carriera parallela, ma venivano da due ambienti molto diversi. In Verdi, c’era una matrice molto più popolare e scriveva opere italiane secondo la ricetta usuale. Resta un musicista in cui il teatro è soprattutto voce. Per Wagner, invece, i personaggi erano immersi nell’orchestra, che rappresentava il cosmo, la vita dell’universo, e i personaggi erano minori. In comune certamente avevano la morale del lavoro e poi, in fondo, in tutti e due il centro del loro teatro era l’uomo, le passioni dell’uomo, la coscienza umana.
D. – C’è qualcuno che trova in comune tra i due anche un ruolo svolto nella costruzione di una certa idea di nazione libera, democratica, nei loro rispettivi Paesi, Germania e Italia...
R. – Per Verdi, si può dire senz’altro che sia così. Ha rappresentato l’identità della coscienza italiana nel suo diventare nazione. Per Wagner non direi: Wagner era più un anarchico e nella sua concezione teatrale si è tenuto al di fuori della politica Che poi la nazione tedesca e, peggio ancora, l’epoca del nazismo abbiano usato la sua musica per i loro fini propagandistici, è un altro discorso.
Giorgio Pestelli. Figlio dello scrittore Leo Pestelli e nipote del compositore Luigi Perrachio.Ha insegnato presso le Università di Torino, Genova, Bologna, Fribourg, Roma, Venezia. Si è occupato di storia dell'opera e di storia della critica musicale. Ha sempre cercato di meditare i significati della musica in rapporto agli altri linguaggi espressivi.
E’ fondatore e condirettore dei periodici "Il Saggiatore musicale" e "Rivista Musicale Italiana"; dirige per l'editore Dell'Orso la collana "Musica e letteratura"; fa parte del Comitato Editoriale delle "Opere di Verdi" in stampa presso le Chicago University Press e l'Editore Ricordi di Milano; è membro del Comitato Scientifico dell' "Istituto Nazionale di Studi Verdiani" di Parma; con Lorenzo Bianconi dirige la Storia dell'Opera Italiana.
Tiene regolarmente cicli di conversazione radiofoniche e collabora con il quotidiano «La Stampa»; dal 1982 al 1985 è stato Direttore Artistico dell'Orchestra Sinfonica della Rai di Torino.Dal 1996 al 2001 ha fatto parte della Commissione Musica presso il Ministero dei Beni Culturali-Dipartimento dello Spettacolo. É Socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dell'Accademia Filarmonica Romana.
Ha scritto importanti saggi sul classicismo viennese e sul barocco tedesco. Tra le sue opere si ricordano Le Sonate di Domenico Scarlatti (1967), L'età di Mozart e Beethoven (1979; 2a ed. 1991), Canti del destino. Studi su Brahms (2000, premio Viareggio per la saggistica nel 2001) e Gli immortali. Come comporre una discoteca di musica classica (2004).
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